sabato 20 aprile 2013

Lotta biologica contro la varroa



La Varroa cerca i fuchi, li attacca, si deposita in uno de tre spazi mobili, che può essere facilmente asportato, così consentendo la distruzione del terribile nemico dell'apicoltore. In pratica, un semplice telaio, peraltro già usato per la riproduzione dei fuchi, al quale Michele Campero ha apportato alcune semplici modifiche, che l'hanno trasformato in trappola "Bio Meccanica" per la varroa.

La ripetuta eliminazione di porzioni di favo da maschio oper- colato con il telaino tripartito si è dimostrato il sistema di gran lunga più efficace per il controllo della Varroa durante il periodo estivo conseguendo due obiettivi importantissimi:
  • I'assenza assoluta di inquinamento chimico
  • si salvaguarda l'equilibrio biologico. Difatti la Varroa oltre a prediligere la covata da maschio, preferisce quella su favo, nuovo, appena costruito. Con il telaino tripartito si elimina una parte dei maschi, quelli maggiormente infestati, a tutto vantaggio degli altri fuchi che nascono in assenza del micidiale parassita.
  • L'introduzione del telaino tripartito impegna ad una visita settimanale all'alveare per almeno otto/dieci settimane.
  • In assenza di covata l'efficacia di tutti i prodotti, anche quelli non menzionati, aumenta considerevolmente.
  • Il telaino tripartito in primo luogo, gli acidi lattico, formico e ossalico, in quanto prodotti naturali, sono da considerarsi trattamenti "biologici" e riconosciuti come tali dal regola- mento comunitario sul biologico
  • Tutti i prodotti antiparassitari, indistintamente, sono in- quinanti e quindi in varia misura nocivi. Una sensibiliz- zazione "ecologica" sull'uso dei prodotti chimici in apicoltura è indispensabile. L'apicoltore deve essere attento a questo problema e preoccuparsi di usare pro- dotti e metodiche il meno inquinanti possibile.
  • L’indebolimento dell'ape, causato dalle ferite provocate dalla Varroa non è, di solito, la causa diretta della mortalità della famiglia, bensì le malattie che la Varroa, mobilissima, tra- sporta spostandosi da un’ape all’altra e da un alveare all'altro.
  • Gli sciami vanno trattati con acido ossalico prima che si opercoli la covata.

giovedì 18 aprile 2013

La prossima sfida del vino argentino è biodinamica


Oggi in Argentina si festeggia il “día del Malbec”, il giorno dedicato al più famoso dei vini “tintos” argentini, tanto amato, in patria e fuori, per essere il vino rosso più adatto per accompagnare la buona carne. Qualcosa di dolce, finalmente, in questi giorni così amari, non solo qui in Argentina, ma un pò dappertutto.
L’Argentina è il maggior produttore di vino del Sudamerica, il quinto produttore in tutto il mondo, e il nono esportatore a livello mondiale, secondo i dati forniti dall’Organización Internacional de la Viña y el Vino. La qualità dei suoi vini è cresciuta vertiginosamente negli ultimi anni, e la sua produttività (11,8 milioni di ettolitri) si è estesa a regioni prima inesplorate in questo settore. Alle tradizionali province di Mendoza, San Juan, Salta, La Rioja, Córdoba, Catamarca, note per i loro fitti e curati vigneti in contesti naturali molto diversi tra loro, si stanno aggiungendo quelle di Neuquén, Río Negro, Entre Ríos, Chubut, Buenos Aires e Santa Fe.
Le esportazioni di vino argentino, sop
rattutto verso Stati Uniti, Canada e Brasile, sono cresciute più di un 38% nel primo semestre del 2012, ma “l’Argentina deve migliorare la sua competitività, soprattutto nei vini di gamma media”, sostiene il presidente dell’ Instituto Nacional de Vitivinicultura argentino, Guillermo García, che ricerca le cause della perdita di competitività del vino locale nell’inflazione argentina e nella crisi europea. Sarà per questo che in Argentina si stanno aprendo nuovi orizzonti. Una nuova sfida nei vigneti argentini è oggi il Malbec biodinamico, che si ispira alla viticoltura francese del predicatore della biodinamica Nicolas Joly e al suo circolo informale dei Vignerons d’exceptions.

Un vino biodinamico è un vino puro e dal gusto autentico, ottenuto da uve trattate con metodi attraverso i quali si raggiungono espressioni nell’uva che sono essenzialmente legate al terreno di provenienza, al clima dell’annata e alle potenzialità varietali della pianta. Le fermentazioni dei vini sono tutte ottenute senza aggiunta di lieviti esterni, ma vengono utilizzati solo i lieviti presenti sulle uve provenienti dalle vigne.
“Per il vino biodinamico non si possono usare né pesticidi, né fertilizzanti”, spiega Ernesto Catena, presidente di Escorihuela Gascón, una delle più antiche e storiche cantine argentine. “Questo è un grande limite, ma è la chiave della biodinamica”, spiega Catena, che dieci anni fa ha inaugurato la propria cantina, Ernesto Catena Vineyards, che si dedica alla selezione dei migliori vigneti per la produzione di vini di alta gamma per il mercato nazionale e internazionale. Tra questi, nel vigneto di Vistaflores, nel cuore della Valle di Uco a Mendoza, ai piedi delle Ande, sei anni fa Catena ha cominciato a produrre 400.000 bottiglie di Tikal Natural, un Malbec naturale totalmente biodinamico. “Sono poche bottiglie, ma per il vino biodinamico non si può aumentare il volume a piacimento, solo ci si deve dedicare alla qualità, del terreno, dei vigneti, dell’uva, perché solo così si ottiene la purezza del sapore, che deve riflettere le caratteristiche della zona”. Le qualità del vino biodinamico, del resto, devono giustificare il prezzo (circa 20 Euro a bottiglia), che per il mercato argentino risulta ancora piuttosto costoso. “Per ora esportiamo soprattutto negli Stati Uniti, dove il vino biodinamico è particolarmente apprezzato e capito”, spiega Catena, che durante vari anni ammette di aver dedicato molte energie a un processo che implica innanzitutto un cambio di mentalità, ma anche di professionalità e cultura commerciale. “All’inizio i miei ingegneri mi credevano un pazzo quando cercavo di ribaltare le loro conoscenze in materia, quando per esempio cercavo di spiegargli che la presenza delle formiche era indice di un problema nella terra, non nell’uva, e che quindi bisognava intervenire sulla terra, alimentandola con compost naturali, perché fosse più forte e in equilibrio, senza uccidere le formiche”, racconta l’imprenditore.
La biodinamica si basa sulle ricerche di Rudolf Steiner (1861-1925), che integra tra loro i principi fisici con quelli mistici dell’energia. È un argomento controverso, che però comincia a destare molta attenzione negli ultimi anni. I prodotti da agricoltura biodinamica sono alimenti che provengono da terreni in stretta connessione con l’ambiente ed energeticamente hanno una valenza maggiore, non fatta di semplice composizione chimica. L’obiettivo dell’agricoltura biodinamica è ottenere il conoscimento e il controllo dei cicli biologici di ogni coltivazione, per impiegare in modo efficiente le risorse di ogni ecosistema locale e dei nutrienti disponibili. Si implementa un sistema di fertilizzazione organica-dinamica in cui si utilizza materia organica, fertilizzanti “verdi” e preparati biodinamici che non solo proporzioneranno gli elementi nutritivi, ma anche la forza per ottenere una produzione migliore qualitativamente, protettiva contro epidemie e malattie. I vini biodinamici sono compresi tra i cosiddetti vini ecologici, poiché nella coltivazione dell’uva si usano pratiche ecologiche, libere da prodotti chimici, che ne consolidano il sapore.
Grazie a queste tecniche applicate alla produzione vinicola, l’uva stessa viene utilizzata come materia prima per realizzare i vini biodinamici, producendo così una stretta connessione tra la terra, i cicli biologici, e la vite.
“Il concetto di alimentare la terra, affinché sia sempre in equilibrio, è fondamentale nella biodinamica; sul vino bisogna intervenire il meno possibile per ottenerne un gusto puro e che rispecchi la provenienza locale. L’altezza delle vigne mendozine, il clima delle Ande, l’assenza di funghi e insetti, permettono produrre vini meravigliosi in questa zona, a patto che non si intervenga troppo” dice Catena e aggiunge: “sono sicuro che attraverso la biodinamica riusciremo a produrre vini che riflettano tutta la bellezza di questo posto”. Nella zona di Mendoza, Cordoba e Salta, cominciano allora a muovere i primi passi altri progetti orientati verso la biodinamica, e si cerca di stimolare i viticoltori a puntare sempre di più sulla qualità rispetto alla quantità. “È la regola della biodinamica, che certamente non soddisferà la domanda cinese, ma è una questione di tempo, di mentalità”, conclude Catena celebrando il día del Malbec con una grande festa e tanto vino, biodinamico soprattutto.



mercoledì 17 aprile 2013

Agricoltura Sinergica. Corso teorico-pratico dal 16 al 19 maggio 2013 a Villa San Pietro (CA)


Appassionati di Agricoltura Sinergica, non perdete il corso teorico-pratico di primo livello che si terrà dal 16 al 19 maggio 2013Villa San Pietro (CA).
L’obiettivo del corso è la realizzazione e la coltivazione di un Orto Sinergico ad uso familiare, attraverso l’approfondimento della conoscenza dell’Agricoltura Sinergica e l’acquisizione delle competenze tecniche necessarie per la cura della terra.
Tenuto da Anna Satta della Libera Scuola di Agricoltura Sinergica “Emilia Hazelip” e promosso dall’Associazione L’albero dell’Amicizia ONLUS con sede a Cagliari, in partenariato con l’impresa Agricola Biologica di Massimo Brodu a Villa San Pietro (CA), il corso è destinato a gruppo di circa 10/12 persone, sia principianti che orticoltori esperti.
Il corso dura quattro giorni e si svolge dal giovedì alle ore 9 alla domenica ore 18.
I contenuti del corso:
  • illustrazione del metodo sinergico
  • studio dell’impianto di irrigazione
  • schede tecniche di piante e colture
  • parte pratica di realizzazione dell’orto, dal terreno nudo alla semina e trapianto
  • riconoscimento e uso delle piante spontanee
A conclusione del corso verranno distribuite le dispense del metodo e si terrà una festa di fine corso!
Il costo totale, per i quattro giorni di corso, è di 130€, possibilità di pranzo con 8 € al giorno.
Per info e iscrizioni:
Per saperne di più:
Vai alla pagina facebook (con programma dettagliato)
Il Manuale Ecoidea sugli orti sinergici

venerdì 12 aprile 2013

Prove pratiche contro l’industria: la permapicoltura


Personalmente ho sempre creduto che, all’avvento di una socio-macchina così complessa, tecnologizzata e dedita ad un controllo capillare, fosse di primaria importanza recuperare quanto più possibile di quell’infinito sottobosco di competenze umane perdute – nella misura in cui tali competenze contribuiscono a creare autonomia per noi stessi e/o i nostri affini, le nostre “comunità amorose” (cit.).
Non è una questione di poco. In tessuti urbani metropolitani (dalle metropoli vere e proprie fino ai nuovi quartieri non-luogo alla periferia delle città minori), pensare di rendere più “sostenibile” l’ambiente circostante è, nel migliore dei casi, ingenuo. Per lo più, in malafede.
In un contesto concepito per uno specifico obiettivo, ovvero gestire i flussi di denaro e merce (persino della “merce umana”, o delle “risorse umane”, per dirla all’aziendale-maniera) troviamo davanti a noi, che lottiamo per una demilitarizzazione del nostro spazio naturale, infinite “barriere architettoniche”: va da sé che i leitmotif ecologisti e cittadinisti andranno messi da parte una volta per tutte, andando a muovere una critica ben più profonda, basilare; ovvero, ad esempio, contestare l’essenza stessa del lavoro.
Una tale critica, che in questa sede non approfondirò oltre teoricamente, trova riscontri pratici in sistemi metodologicicome quello della permacultura o, meglio, dell’agricoltura naturale di Masanobu Fukuoka1; qualcuno, probabilmente, storcerà il naso al sentire citare queste pratiche e questo a causa dell’enorme lavoro di recupero che vari movimenti di ecologisti (e cittadinisti in senso ampio) stanno esercitando per reintegrare la componente – passatemi il termine – rivoluzionaria delle pratiche dell’agricoltura del non-lavoro e per spegnerle nel grande calderone istituzionale. Come fa il movimento delle Transition Towns, ad esempio. Tuttavia, credo che ciò non dovrebbe scoraggiarci dal riappropriarci del buono che è insito in queste pratiche, e nella loro alta capacità potenziale di renderci più autonomi dal tessuto urbano e dalle ragioni che hanno portato alla creazione di questo tessuto. Ma sto mettendo troppo sul fuoco.
Una pratica specifica su cui mi sono soffermato da un paio di anni a questa parte è quella dell’apicoltura; anche le api hanno pagato lo scotto dello sviluppo, vedendo decimata la loro popolazione a causa di 3 principali fattori:
  1. Drastica diminuzione ed impoverimento degli spazi verdi a causa dell’urbanizzazione.
  2. Introduzione, a causa del commercio globalizzato, dell’acaro Varroa.
  3. Inquinamento dell’aria, con particolare riferimento all’uso di pesticidi.
Insieme a questi fattori ambientali, gioca un enorme ruolo la progettazione delle moderne arnie Dadant-Blatt (le arnie “razionali”) le quali, pur avendo rappresentato un’enorme innovazione rispetto ai tradizionali bugni villici2, rimane pur sempre un sistema artificioso e concepito per perseguire una produzione “economica”, anziché il benessere delle famiglie di api.
A tal proposito sono entrato in contatto, tramite degli amici di una comune agricola di Velletri (RM), con le sperimentazioni di Oscar Perone, apicoltore argentino che, attraverso anni di sperimentazione (pur poco documentata), ha cercato di applicare i principi ed il modus operandi della permacoltura all’attività apistica; da questo connubio, si è andato definendo un nuovo modo di concepire il rapporto, in realtà già molto stretto, tra ape ed uomo: la permapicoltura. Questa pratica viaggia in una direzione diametralmente opposta rispetto alla logica della produzione del miele e, come accennato, mira a creare un ambiente quanto più adatto al benessere delle api, laddove dal loro benessere deriva un benessere per tutta la biosfera, uomo incluso.
Le arnie permapicolturali sono costruite per simulare l’ambiente di un albero cavo: esse non presentano telaini, fogli cerei prestampati, entrate forzose o trappole di sorta: la famiglia di api ha a disposizone una larga camera per il nido, a partire dalla quale costruisce i favi in piena libertà, gestendo i propri spazi secondo le esigenze peculiari non del genere apis, non della razza, ma della specifica famiglia che si trova a dover costruire la propria sistemazione.
Questa autonomia porta le api ad adottare le soluzioni ottimali per la loro famiglia, autogestendo il più possibile gli spazi e (qui l’aspetto più importante) conservando energie per altre attività, come la raccolta e, soprattutto, l’igiene dell’alveare: nella maggioranza schiacciante dei casi, infatti, le famiglie di api “allevate” con i principi della permapicoltura riescono a gestire la piaga della varroa senza l’ausilio dei rimedi comuni dell’apicoltura moderna (timolo, acido ossalico, acido formico, ecc…).
L’intervento del permapicoltore, dunque, si limiterà alla falegnameria necessaria per la costruzione iniziale del nido. Dopo l’insediamento, la famiglia non dovrebbe subire raccolte di miele da parte nostra per 2 anni. Questo tempo viene indicato sulla base dell’esperienza di Perone ed è il tempo più o meno necessario alla famiglia per raggiungere un livello di prosperità tale da resistere bene ai prelievi di miele da mano umana; prelievi che, in ogni caso, devono essere fatti con criterio: innanzitutto, il primo melario (quello a contatto con il nido) non verrà mai raccolto.
Nonostante queste restrizioni (mi perdonerete l’antropocentrismo di questo capoverso), la produzione specifica di miele delle famiglie d’api allevate in permapicoltura sarà, nel tempo e grazie alla prosperità della famiglia stessa, molto maggiore che nel caso di un allevamento moderno.
Potrete già domani cominciare con la vostra arnia permapicolturale (si può costruire facilmente anche con legno recuperato) ed insediarvici uno sciame. Ricordate che, nella fase iniziale, non dovrete assolutamente montare alcun melario: l’includi-regina3 permette il passaggio d’ogni tipo di api per cui, se porrete subito tutti i melari, i favi di covata verranno costruiti istintivamente nel punto più alto a disposizione, rendendo impossibile per noi la raccolta! Mettendo all’inizio solo nido, telaio includi-regina e tetto, invece, le covate verranno iniziate (e mantenute!) nel punto più basso. Dopo circa due settimane potranno essere aggiunti i melari in tutta tranquillità.
A causa della scarsa documentazione prodotta, esistono molte versioni di questo tipo di arnia, con variazioni che riguardano essenzialmente le misure: tutte hanno, di fatto, lo stesso principio e la stessa struttura di base. Allego, dunque, le due varianti principali con cui sono entrato in contatto: quella più “chiatta” la potete trovare a questo indirizzo.
Mentre quella più longilinea, la trovate nell’immagine in calce.
Spero che tutto vi torni utile: se siete arrivati fin qui, probabilmente saprete quanto la nostra fragile esistenza dipenda anche dal benessere e dalla prosperità delle api. Queste pratiche potrebbero essere un importante tessera da aggiungere al nostro puzzle per la fuga dal grigiore e dallo sfruttamento.



1: Per approfondimenti si consiglia «La Rivoluzione del filo di Paglia» e «Lezioni Italiane», entrambi di Masanobu Fukuoka (Libreria Editrice Fiorentina)
2: Il bugno villico è un genere di alveare tradizionale, precedente all’epoca delle Dadant-Blatt (arnia oggi più comunemente utilizzata), costruito di vimine, paglia, argilla, pietra o altri materiali naturali. La principale caratteristica di queste arnie è che la raccolta viene fatta attraverso l’apicidio, ovvero la torchiatura dei favi nella loro interezza

3: No, non mi sono confuso. L’includi-regina, così chiamato perché non impedisce realmente il passaggio della regina, è l’elemento fondamentale di tutta l’arnia permapicolturale, nonché la traccia-canovaccio da cui le api partono per costruire i loro favi.

Articolo di Gerri P. Malerba



martedì 9 aprile 2013

Corso Introduzione all'Agricoltura Biodinamica - Lago di Cavedine


Destinatari: max 25 persone - il corso è destinato in via prioritaria alle persone escluse per superamento dei
posti disponibili del corso Agricoltura biodinamica – Formazione di Base. In forma residuale ad altri
interessati. Qualora non si raggiungesse il numero minimo di 15 iscrizioni il corso non verrà attivato.
Programma:
mercoledì 10 aprile, 14.00-17.00
Paolo Pistis, Come aumentare la fertilità della terra con le tecniche dell'agricoltura biodinamica.
mercoledì 10 aprile, 17.00-20.00
Elena Zaramella, utilizzo pratico dei preparati biodinamici, la dinamizzazione e la spruzzatura.
lunedì 22 aprile, 15.30-18.30
Paolo Pistis, Introduzione alla progettazione dell'organismo agricolo: visita guidata all'azienda agricola Pisoni.
Modalità di iscrizione: per effettuare l'iscrizione è obbligatorio compilare il modulo allegato e consegnarlo
entro lunedì 8 aprile 2013 a Trentino Cipa.at Servizi srl o tramite consegna a mano o via fax (0461.422259)
o tramite mail (tcsformazione@cia.tn.it). Verrà preso in considerazione l'ordine cronologico delle iscrizioni.
Quota di partecipazione: Euro 70,00. Le modalità di pagamento verranno comunicate successivamente alla
consegna del modulo di iscrizione.

Durata: 10 ore
Sede: Azienda Agricola Gino Pedrotti, via Cavedine 7 Lago di Cavedine – Pietramurata


Informazioni
TRENTINO CIPA.AT SERVIZI SRL
Via Maccani 199 – Trento - tel. 0461.421214 - fax. 0461.422259
e-mail tcsformazione@cia.tn.it sito www.cia.tn.it
referenti: dott.ssa Francesca Eccher e Francesca Tonetti

E' possibile consultare la locandina del corso qui

lunedì 8 aprile 2013

Apicoltori, parte l’assistenza tecnica - Trento


TRENTO. Parte lunedì 8 aprile il servizio di assistenza tecnica e veterinaria agli apicoltori trentini. Un servizio atteso da tempo in quanto l’apicoltura è un comparto che può presentare delle problematiche complesse specialmente per chi non ha una competenza specifica. Molto soddisfatto il presidente dell’Associazione Apicoltori del Trentino Marco Facchinelli: «Non meno di 7-800 apicoltori potranno trovare assistenza veterinaria da parte del veterinario destinato dall’Azienda Sanitaria, Stefano Tamanini, e l’assistenza tecnica da parte di uno dei diciassette esperti apistici distribuiti sul territorio provinciale».
Il progetto che interessa tutti gli apicoltori trentini soci e non soci delle varie associazioni, è stato predisposto e presentato all’Unione europea da parte dell’Associazione provinciale, come servizio a tutta l’apicoltura trentina. Il finanziamento dell’Unione Europea al netto dell’Iva è pari al 90% della spesa ammessa, mentre la differenza viene pagata dai soci dell’associazione. Per questo il presidente si augura che il numero dei 250 soci «possa aumentare per dividere equamente la spesa del servizio che sarà dato gratuitamente».
Ma come ci si può avvalere? «Si è voluto eliminare ogni forma di burocrazia, anche il semplice invio di un e mail», afferma Facchinelli, «al fine di agevolare il lavoro degli apicoltori. E’ sufficiente una chiamata sul telefonino al numero 347 0852096, al quale risponde direttamente il veterinario Tamanini che coordinerà l’intervento. Se si tratta di un problema di salute delle api e quindi di tipo veterinario, l’intervento sarà fatto a cura del Tamanini, se si tratta invece di patologie di carattere tecnico sarà incaricato uno dei 17 esperti presenti sul territorio».
Al fine di assicurare a tutti questo importante ed atteso servizio l’associazione apicoltori provinciale ha fatto rete con le altre associazioni di zona presenti sul territorio: da quella della Valsugana, a quella storica della valle di Fiemme, a quella della Valle di Sole e della Vallagarina.
«Certo», precisa il presidente, «a tutti gli apicoltori sarà assicurato il tipo di assistenza sopra illustrato, ma gli altri importanti servizi per l’acquisto dei mezzi di produzione, come gli accordi di vendita del prodotto saranno riservati ai nostri soci».
Una ulteriore precisazione di Facchinelli: «Questa diffusa presenza sul territorio della rete degli esperti può avere anche un importante ruolo di tutoraggio per eventuali aspiranti apicoltori che intendono avviare l’affascinante conoscenza e allevamento delle api, infine questo progetto può contribuire anche ad un avvicinamento fra le varie associazioni in funzione di un servizio sempre migliore ai nostri apicoltori», conclude il presidente.
Articolo di di Carlo Bridi

sabato 6 aprile 2013

In Italia arrivano le “Urban Bees”


Il progetto , incentrato sulla diffusione dell’, è stato proposto nel nostro Paese dall’apicoltore di Torino Antonio Barletta che, nel novembre 2010, ha lanciato questa singolare idea l’idea su Facebook, spiegando quali sono gli obiettivi del progetto, tentando così di introdurlo nel capoluogo piemontese.


Le  urbane sono già una realtà a New York, Londra o Parigi e sono considerate delle vere e proprie sentinelle dell’. Anzi, in tempi non troppo lontani, proprio a New York vigeva il divieto di allevare api in città, sia per comprensibili motivi di sicurezza (si può intuire come possa destare preoccupazione la possibilità che sciami di api possano accidentalmente fuoriuscire dall’arnia e invadere un quartiere o un centro abitato!), sia perché si temeva che le api morissero a causa dell’inquinamento cittadino e sia perché gli apicoltori di campagna temevano la concorrenza del miele urbano. Tuttavia queste remore sono presto passate in secondo piano rispetto al dato assai rilevante che le api di città, oltre a produrre un ottimo miele, possono monitorare efficacemente gli , soprattutto nell’aria.
Ciò sarebbe possibile creando, nella città e nelle province, delle apposite postazioni per l’installazione periodica di  apiari urbani, cioè di arnie “cittadine” in cui allevare i laboriosi insetti. Andrebbero bene quindi balconi, terrazze, giardini, orti e qualsiasi altro spazio verde, pubblico o privato, messo espressamente a disposizione per il progetto.
A Torino, dove peraltro, divieti particolari circa l’allevamento di api non ce ne sono mai stati, l’apicoltura urbana ha iniziato a prender piede, proprio come fosse una consolidatissima buona pratica ambientale, tant’è che il Comune di Torino, proprio oggi, in sede di commissione ambientale, sta ospitando gli esponenti del progetto UrBees, riconoscendone l’importante ruolo per l’ambiente e l’ urbano.
E in effetti, i vantaggi che l’apicoltura urbana produce sono molteplici: alcuni a favore degli stessi cittadini i quali, partecipando attivamente all’allevamento delle api, possono usufruire di prodotti genuini come miele o propoli (rigorosamente testato in laboratorio, degustato e poi distribuito ai cittadini), altri a favore dell’ambiente perché, attraverso l’analisi del miele, si può rilevare la presenza di metalli pesanti come nichel, piombo o altri inquinanti, tenendo presente che queste sostanze, nel miele sono bassissime(per cui commestibili e innocue per l’uomo) ma studiate nel complesso possono rilevare degli squilibri pesanti nell’intero ecosistema della città. Inoltre le api sono dei bioindicatori, cioè sono in grado di dirci come cambia l’ambiente e, in più, concorrono a tutelare la biodiversità, ad esempio attraverso lo spostamento di pollini, favorendo così lo sviluppo della flora circostante.
Infine il progetto prevede una campagna di sensibilizzazione e di educazione all’allevamento urbano delle api, attraverso l’organizzazione di seminari, convegni, mostre, attività di formazione professionale, attività culturali nelle scuole, la produzione di materiale audiovisivo, in modo da far conoscere ai più i vantaggi dell’iniziativa, in tutte le loro sfaccettature.
Per tutti quelli che volessero partecipare attivamente all’iniziativa o volessero richiedere informazioni per avviarne una simile nella propria città, esiste la pagina di facebook“Progetto Urbees”, in cui sono indicati tutti i link e gli indirizzi mail per entrare in contatto con i membri del progetto.

giovedì 4 aprile 2013

Varroa : 2014, Registrazione europea per Acaricida al Luppolo


Vita (Europe) Limited ha avviato la richiesta di registrazione europea per HopGuard®, il nuovo trattamento di anti-varroa, a base di luppolo (in inglese “hop”), messo a punto dalla statunitense BetaTech società leader nella estrazioni di sostanze naturali ad azione nutraceutica, funzionale e medicamentosa. Il processo di registrazione per l'Europa sarà completato a partire dalla seconda metà del 2014, anno in cui la Vita Europe Ltd (la Casa farmaceutica inglese, leader europeo nel settore dei prodotti per il controllo delle malattie delle api) conta di renderlo disponibile per gli Apicoltori. HopGuard® sarà il primo trattamento di controllo che può essere utilizzato in qualsiasi momento dell'anno, anche durante l’importazione di nettare e la presenza di melari sugli alveari. Il principio attivo deriva da ingredienti per uso alimentare, a base di composti naturali del luppolo che si sono dimostrati assolutamente sicuri per le api, per la covata e per l’uomo. HopGuard®, sulla cui reale efficacia si sono già pronunciati favorevolmente i nostri colleghi apicoltori americani, risulta di semplicissima somministrazione: due strisce gelatinose, collegate tra loro e che supportano il principio attivo, vanno inserite a cavallo tra i favi di covata e il gioco è fatto: l’alveare, in capo a poco tempo, si ripulisce dalla varroa. Fatto da non trascurare, infine, è che le strisce a base di luppolo non hanno neanche bisogno di essere rimosse perché si disintegrano in modo naturale fino all’eliminazione, da parte delle api, delle particelle residue cadute sul fondo dell’alveare. HopGard®, stando a quanto dichiara la Vita Europe Ltd, sarà il primo prodotto antivarroa ad aver ottenuto l’omologazione per tutti i paesi dell’Unione Europea. Nulla ancora trapela, invece, per quanto riguarda la politica commerciale europea e italiana. Di quella americana, invece, sappiamo che una confezione da 50 strisce costa circa 30 dollari Usa e che, di conseguenza, il trattamento ad alveare incide attualmente per circa 1 Euro.



fonte: www.federapi.biz

lunedì 1 aprile 2013

Pappa reale


Che cos'è
La pappa reale si presenta come una sostanza gelatinosa, per questo è anche definita “gelatina reale”. Il suo colore è bianco-giallognolo a riflessi perlacei, astringente in bocca e dal sapore acidulo, simile a quello dello yogurt, ma anche leggermente zuccherino. L’odore è di tipo fenolico(ricorda quello dell'inchiostro, del cerotto, o di certe vernici).  Tende a ispessirsi con l’invecchiamento e il suo colore può modificarsi a contatto con l’aria.
Essa è il prodotto di una secrezione delle ghiandole ipofaringee e mandibolari delle api nutrici, quelle cioè che, nel succedersi determinato dall’età delle funzioni dell’alveare, hanno tra i 4 e i 15 giorni di vita. La pappa reale deriva dalla trasformazione del polline, che costituisce il principale alimento proteico delle api, e dunque destinato principalmente a crescere e mantenere le strutture del corpo; a differenza del polline, che è una struttura biologica quasi completamente di origine vegetale (eccetto alcune sostanze aggiunte dalle api per appallottolarlo e conservarlo), la pappa reale è totalmente di elaborazione animale. Essa viene utilizzata subito dopo la secrezione, non viene immagazzinata come il polline e il miele. 
Costituisce il nutrimento esclusivo di tutte le larve di api dalla schiusa al terzo giorno di vita, nonché di quelle larve destinate a svilupparsi in regine fino al loro quinto giorno di vita larvale (il momento in cui la cella viene opercolata e lo sviluppo avviene come in un bozzolo); e infine dell’ape regina per tutta la durata della sua vita.  E’ questo nutrimento a far sì che la regina, nata da un uovo identico a quello di un’ape operaia, diventi in meno giorni due volte più grossa e pesante. Che la sua larva riesca ad aumentare di circa duemila volte in cinque giorni il suo peso. Ed anche che una regina possa avere una durata di vita che può arrivare fino a cinque anni, mentre un’operaia vive intorno ai 45 giorni; e infine, che essa sia in grado di deporre fino a 2000 uova al giorno per alcuni anni.
Questi dati, che sono assodati a livello della vita dell’alveare,  vengono spesso utilizzati per cantare le lodi della pappa reale, estrapolandoli sull’uomo. In realtà, anche se la pappa reale resta una miscela unica per ricchezza di sostanze attive, il corpo umano e l’organismo alveare sono sottoposti a regole diverse: questa crescita rapida e veloce è comune a molti altri insetti, e così il meccanismo che regola la longevità degli insetti è diverso da quello che regola la vita dei mammiferi.
Un po’ di storia 
Fu il naturalista ed entomologo olandese Jan Swammerdam (1637-1680) a descrivere per primo quel residuo di nutrimento che è rintracciabile all’interno di una cella reale dopo lo sfarfallamento della regina. Lo scienziato francese René Antoine de Réaumur (1683-1757) utilizzò il termine bouillie (pappa) e gelée (gelatina) per denominare il cibo della regina e delle larve di api operaie, in cui disse di riconoscere “un sapore leggermente zuccherino misto all’agro del pepe”.

Il reverendo Langstroth, considerato il padre dell’apicoltura americana, fu il primo a farne fare un’analisi chimica nel 1852, coi metodi di allora che però non garantivano una informazione significativa. E’ intorno al 1950 che si inizia a formare la conoscenza della composizione della pappa reale. Negli stessi anni, in Francia, si cominciò a pensare alla pappa reale come a un prodotto commerciale, soprattutto in zone che non garantivano un sufficiente raccolto di miele.
L’uso della pappa reale in funzione della salute venne indagato a partire dagli anni ’60, con lo sviluppo della cosiddetta “Apiterapia”. Il Giappone si rivelò presto la nazione più  propensa al suo consumo e nel 1986 vi sono stati pubblicati, tra i primi, gli standard di qualità per uso medicinale e quelli di composizione per l’uso alimentare.  Negli anni ‘80 in Italia si è cominciato a dedicare una maggiore attenzione agli aspetti produttivi e alla produzione di pappa reale di origine italiana di fronte alla saturazione del mercato di pappa reale di produzione cinese. Contemporaneamente, proprio in Cina si è cominciato a sviluppare un grosso interesse sia sulla selezione di ceppi di api più idonee alla produzione di grosse quantità di pappa reale, sia sul miglioramento degli espedienti tecnici e delle modalità di gestione degli alveari. Il nuovo impulso che ha preso vita tra gli apicoltori italiani alla fine degli anni ‘90 ha avuto come ispirazione proprio le esperienze cinesi. Il rinnovo dei metodi di produzione va di pari passo con un lavoro di laboratorio volto alla caratterizzazione della pappa reale fresca e italiana.
Come si produce
La pappa reale si produce utilizzando e orientando ai propri fini i naturali meccanismi biologici dell’alveare. La quantità di pappa reale che le api producono ordinariamente, per nutrire la regina e le larve fino a tre giorni di età, è in realtà molto piccola. Ma c’è un periodo speciale  in cui ne producono invece in grande quantità: quello primaverile della “sciamatura”, la modalità con cui le famiglie d’api si riproducono. La vecchia ape regina si prepara a sciamare dall’alveare con una parte delle api, nel momento in cui esso ha raggiunto un livello ormai traboccante del suo sviluppo, mentre le api, che in questo “troppo pieno” non riescono più ad avvertire tramite i feromoni la sua presenza, allevano tutta una serie di nuove regine. A questo scopo costruiscono un gran numero di celle rotonde destinate alle larve reali riempiendole di questo ricco nutrimento.
L’allevamento volto alla produzione di pappa reale non fa che imitare ad arte questa situazione primaverile: si preparano alveari senza regina e pieni d’api e di covata nascente, con un grande afflusso, come a primavera, di nettare e polline (che l’apicoltore può somministrare direttamente se in quel momento mancasse in natura). Si inseriscono delle stecche di legno contenenti cupolini che imitano la forma che hanno le celle reali all’inizio. In ognuno di questi cupolini viene “innestata” una larva d’ape, prelevata da una cella di operaia, dell’età di due giorni: è solo al terzo giorno infatti che una larva si trova a un bivio e ha un percorso diverso a seconda che diventi regina oppure operaia. A questo punto le api, cui manca una regina, allevano seguendo un meccanismo biologico ineludibile tutte le sostitute inserite ad arte, producendo così grosse quantità di pappa reale. Si verifica però, dopo circa 72 ore, una fase in cui la pappa reale è al suo massimo, dopodiché la larva reale comincerebbe a inglobarla ingrossando a sue spese; ed è proprio allora che l’apicoltore toglie le celle artificiali inserite, e, mettendo da parte le larve, raccoglie la pappa reale.
Cosa contiene
I principali costituenti della pappa reale fresca sono acqua (57-70%),  proteine (14-15%),  zuccheri (12-13%),  lipidi (3-4%) e minerali (2%). Delle sostanze proteiche, gran parte sono aminoacidi, di cui gli otto considerati indispensabili all’organismo umano (isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilanina, treonina, triptofano e  valina). Gli zuccheri sono costituiti principalmente da glucosio e fruttosio, e, in misura minore, da maltosio, tralosio, melibiosio, erlosio e ribosio. I lipidi sono per lo più costituiti da acidi grassi, i cui più rilevanti sono l’acido cheto-trans-decendioico e l’acido idrossi-trans-decendioico. Tra i minerali, in ordine decrescente di concentrazione, sono presenti potassio (nettamente prevalente), calcio, sodio, zinco, ferro, rame e manganese. Tra le vitamine, particolarmente abbondanti sono quelle del gruppo B, in particolare l’acido pantotenico (vitamina B5). E’ presente anche acetilcolina, un neurotrasmettitore e vasodilatatore, oltre che fattore antibatterico e antibiotico. In letteratura si parla spesso di una frazione ancora sconosciuta della pappa reale, la cui composizione contiene, in conclusione, un notevole numero di elementi indispensabili alla vita dell’uomo in una prodigiosa sinergia che sarebbe impossibile da realizzare in laboratorio.

Proprietà e usi principali
Prima di accennare alla continua produzione di nuovi studi e ricerche che esplorano in numerose direzioni l’utilizzazione medica della pappa reale, è opportuno rendersi conto delle proprietà ormai consolidate da un uso decennale e da ricerche scientificamente impostate(ignoriamo espressamente qui quelle che si basano sull’inoculazione ai topi di sostanze irritanti o altrimenti nocive, per verificare poi eventuali benefici della pappa reale, perché guardiamo al regno animale senza preferenze, con equanime compassione).
Mentre dalla maggior parte degli autori viene sottolineata la sostanziale innocuità del prodotto, i benefici della pappa reale sono in primo luogo nutritivi, energetici e metabolici. La pappa reale viene consigliata:
-  per sostenere il corpo durante i cambi stagionali
-  in periodi di stress e di sforzo lavorativo, incluso lo sforzo mentale
-  in casi di depressione (in questi casi possono giocare una ruolo particolare l’acetilcolina e le vitamine del gruppo B)
-  durante le convalescenze o in occasione di periodi di ospedalizzazione
-  come stimolante dell’appetito
-  come immunostimolante
-  come tonico
-  come stimolante del metabolismo
-  per bambini prematuri o con deficienze nutrizionali e pazienti anziani


Come si conserva? Quanta se ne assume? Come si trova in commercio?
La pappa reale si trova in commercio fresca, liofilizzata, in miscela col miele e con altri prodotti dell’alveare, in pillole, capsule, lozioni, creme, unguenti, shampoo ed emulsioni.  Il solo uso che raccoglie un’unanimità di consensi è quello della pappa reale fresca, che si conserva bene per 10-12 mesi a una temperatura tra 0 e 5 gradi. Ne viene consigliata l’assunzione a digiuno e per via sublinguale (cioè ponendola sotto la lingua e lasciandola sciogliere), per evitare, semplicemente deglutendola, una sua degradazione da parte dei succhi digestivi e gastrici. Le dosi consigliate si aggirano intorno ai 500 mg al mattino (dose che va ridotta a un terzo per il prodotto liofilizzato rispetto a quella del prodotto fresco). Va assunta per almeno 6 settimane, un periodo che può essere rinnovato varie volte nel corso dell’anno. Ci sono diverse posizioni invece sull’uso della pappa reale liofilizzata o mescolata ad altri prodotti. La ragione dei dubbi sta nell’estrema instabilità della pappa reale (è per questo che va conservata a una temperatura bassa e costante): basterebbero sette ore di esposizione all’aria per privarla delle proteine. Chi dubita della forma liofilizzata fa notare come  il processo di liofilizzazione esponga la pappa a sbalzi termici che potrebbero danneggiare le sostanze più volatili. Un cosmetologo come Gianni Proserpio sottolinea la labilità della pappa reale notando come la sua incorporazione a cosmetici non possa avvenire a temperature superiori a 30-35°, pena la distruzione del prodotto, e come debba rimanere in ambiente acido e mai superare il pH di 4,5, dubitando che un prodotto “così labile e delicato” possa conservare tutte le sue prerogative incorporato in un’emulsione. Arrivando a consigliarne eventualmente un uso orale per attendersi un’eventuale beneficio a livello cutaneo. Altri autori la consigliano solubilizzata in ossimele (prodotto della fermentazione naturale del miele, la stessa sostanza usata dalle api per conservare la pappa reale nella celletta della regina prima della opercolatura), che ne migliorerebbe anche l’assimilazione.
Può dare allergie? Ci sono controindicazioni?
Un classico libretto divulgativo del dr. Yves Donadieu del 1981 nega che esistano controindicazioni, incompatibilità con altre terapie o che inconvenienti si siano mai verificati. Ma in letteratura sono segnalati successivamente sporadici casi, tra  cui uno di anafilassi  (Roger A, e altri, Barcellona, 1995). Casi di gastroenterite eosinofilica (Yonei e altri, 1994), di colite emorragica (Murakami e altri, 2008), di dermatosi da contatto (Takahashi e altri, 1985), e di allergia (Susumu, 2011) sono stati segnalati in Giappone. Inoltre casi di asma (Leung e altri, Australia, 1993), broncospasmi (Laporte e altri, Spagna, 1995), persino un caso di asma con esito letale (Bullock e altri, Australia, 1995). Dunque, nonostante si tratti di casi estremamente sporadici, occorre ricordare che i prodotti dell’alveare possono presentare controindicazioni per persone che soffrono di allergie gravi al polline o soffrano di ipersensibilità ai prodotti stessi. La ricchezza di proteine della pappa reale costituisce per altro verso un potenziale allergenico.

Studi
Numerosi ricerche continuano a indagare l’uso della pappa reale in ambito cardiologico, gastroenterologico, ginecologico e urologico, neuropsichiatrico, dermatologico, oftalmico, stomatologico, pediatrico, gerontologico.

Bibliografia essenziale in italiano
Umberto Nardi: Apiterapia, ed. Aporie, 1992
Cristina Mateescu: Apiterapia, ed. M.I.R. 2008
Theodore Cherbuliez: Curarsi con tutti i prodotti delle api, ed RED/Studio redazionale, 2006

Ormai introvabili, ma forse ancora reperibili in qualche biblioteca, il classico di Yves Donadieu: Pappa Reale, Maloine editore, Parigi, 1981, e Gianni Proserpio: L’ape cosmetica, edizioni Erboristeria Domani 1981, che fornisce un approccio critico e disincantato.