sabato 5 gennaio 2013

Come allevare le api


La prima cosa che viene in mente quando si parla di apicoltura è, naturalmente, il miele. Questo fluido dolce, viscoso, è nettare trasformato dalle api operaie. In media, un alveare commerciale può produrre 29 chili di miele all’anno. La cera è un altro prezioso sottoprodotto dell’attività delle api. Un favo serve per cinque o sei anni. Poi si scurisce a motivo di vari microbi e larve che vi si annidano, e deve essere sostituito. Dai favi scartati si estrae la cera. La produzione media commerciale va dai 10 ai 20 chili di cera per ogni tonnellata di miele raccolto. 
Il polline — che è la principale fonte di proteine, vitamine, minerali e grassi per lo sviluppo della regina, delle operaie e dei fuchi — è pure apprezzato da alcuni come ottimo rimedio naturale per diversi disturbi fisici. Un favo può produrne quasi 5 chili all’anno. Il propoli è una sostanza che le api usano per isolare l’alveare e per avvolgere qualsiasi intruso troppo grosso per essere allontanato. 
Direttamente o indirettamente, la produzione di circa un quarto del cibo che consumiamo, dipende dalla capacità delle api mellifiche di impollinare le piante coltivate. Mele, mandorle, angurie, prugne, pere, cetrioli e diversi tipi di bacche, dipendono tutti dall’impollinazione effettuata dalle api. Lo stesso avviene per varie piante da semina, fra cui carote, cipolle e persino girasoli. Il lavoro delle api, che impollinano l’erba medica di cui si nutre il bestiame, influisce anche sulla carne e sui prodotti caseari.


Diventare apicoltore può sembrare facile: Uno si procura alcune arnie piene di colonie di api, le colloca in una località nettarifera e ritorna dopo qualche mese a raccogliere i prodotti. Ma le cose non stanno così. 
Facendo l’apicoltore si assiste a miracoli quotidiani. Finora nessuno capisce bene la complessa vita comunitaria, la progredita capacità di comunicare e le favolose abitudini di lavoro dell’ape mellifica. 

Tracciando la storia dell’apicoltura, bisogna sapere che nel passato gli apicoltori raccoglievano il miele distruggendo le colonie di api, che abitavano in alberi cavi e altri anfratti. Nel 1851, tuttavia, un apicoltore americano, Lorenzo Lorraine Langstroth, scoprì che le api lasciano uno spazio di circa 6 millimetri fra i favi di cera. Quindi si potevano usare alveari di legno di fattura umana, in cui fosse lasciato uno spazio simile fra i telai dei favi. Così era possibile estrarre i telai dall’alveare e raccogliere il miele e la cera senza distruggere la colonia.


Per fare bene questo lavoro, è necessario avere molto affetto per le proprie api. Si diventa come un padre per loro, e le api se ne rendono conto e reagiscono di conseguenza. Si diventa anche il loro medico, il loro custode e colui che dà loro da mangiare nei periodi difficili d’inverno

Un buon apicoltore può dire molto, dando solo un’occhiata a un alveare, che di solito contiene da 8.000 a 80.000 api. Se sei esperto, quando apri l’alveare, ti basta sentire il ronzioper capire se la colonia è sana, produttiva e ‘felice’se ha fame; se è ‘orfana’, perché l’ape regina è morta; se è agitata per qualcosa di spiacevole; e molte, molte altre cose. 


L’apicoltore può seguire i fiori d’arancio e di tiglio per tenere occupate le sue colonie. D’estate e d’autunno, una zona ricca di pini e abeti farà produrre miele di buona qualità di colore roseo, che si vende bene. Dal timo in fiore si ottiene miele della migliore qualità, un miele insuperabile, dicono gli apicoltori. Le api si nutrono anche di trifoglio bianco, trifoglio giallo dolce ed erba medica. 
È estremamente importante avere buon senso. Quando si collocano gli alveari in una zona montuosa, è meglio metterli ai piedi del monte. Così le api possono salire verso la cima, posarsi sugli alberi carichi di fiori, e poi, sazie, scendere con maggior facilità verso l’alveare. Se gli alveari fossero molto più su lungo il pendio, al di sopra degli alberi, le api si stancherebbero e ciò avrebbe un effetto negativo sulla produttività della colonia.

Ogni apicoltore capisce quale ruolo importantissimo ha la regina sul benessere e la produttività della colonia.  Negli alveari che producono scarse quantità di prole e di miele, la regina deve essere uccisa e sostituita.  

Le colonie che hanno regine giovani producono la maggior quantità di miele.  Inoltre, quando si vogliono creare nuove colonie, si prende un alveare doppio sano, pieno di api, e si separa la cassetta superiore da quella inferiore.  Si lascia la regina in una cassetta, e si mette una giovane regina già accoppiata nell’altra.  Al tempo della fioritura, la nuova regina deporrà le uova, riempiendo l’alveare di giovani api operaie”.  
Quanto vive un’ape? La durata della vita di un’ape operaia è inversamente proporzionale alla sua operosità.  D’estate, quando succhia il nettare dai fiori circa 15 ore al giorno e vola a una velocità di 21 chilometri orari, l’ape vive solo sei settimane.  D’inverno le api faticano meno, perché lavorano solo due o tre ore al giorno, e quindi riescono a vivere parecchi mesi.. 

Fonte: http://www.animalidalmondo.it/come-allevare-le-api-154087.html

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